Ultimi arrivi

Il volume raccoglie gli scritti di Adolphe Appia da La musica e la messa in scena (1895) a La messa in scena del dramma wagneriano (1899), fino a ciò che, dell’attività teorica e artistica di Appia, costituisce il punto di arrivo: L’opera d’arte vivente pubblicata a Ginevra nel 1921. Sono scritti che si pongono come la base istituzionale per la storia della regia, ma il loro valore supera di gran lunga quello che siamo abituati ad attribuire all opera di ogni “fondatore”: essi si prestano a letture aperte ad alcuni dei temi più stimolanti del dibattito sullo spettacolo contemporaneo.Secondo quanto rileva Ferruccio Marotti nella prefazione al volume in cui ricostruisce anche l’insieme dell’attività teatrale dell’artista ginevrino, quel che di più “moderno” l’opera di Appia ci offre è, innanzitutto, contenuto nel rigore della sua teoria, o meglio nella teoria del suo rigore. Il sistema di Appia è deduttivo, l’unica premessa è la musica come principio ordinatore. I passaggi della deduzione si pongono tutti come una equazione il cui primo membro è costituito dalla realtà — negativa — rappresentata da ciò che il teatro è, e il secondo da ciò che il teatro dovrebbe essere, da ciò che il teatro può divenire. Ogni passaggio, in fondo, non fa che rispecchiare — nella sostanza — il precedente e il seguente: solo gli estremi si configurano, di volta in volta, sotto specie particolari diverse.Ma, nel crogiuolo di un tale sistema, tutti gli elementi dello spettacolo si trasformano, assumono valori nuovi e insospettati. Il teatro viene vivisezionato: non di una riforma si tratta, ma di una negazione totale che lascia il posto ad una utopia altrettanto radicale. Il teatro del futuro non è il futuro del teatro: “prima o poi arriveremo a quel che si chiama ‘La Sala,’ cattedrale dell’avvenire, che accoglierà le manifestazioni più diverse della nostra vita sociale e artistica in uno spazio libero, vuoto, trasformabile, e sarà il luogo per eccellenza in cui l’arte drammatica fiorirà con o senza spettatori... L’arte drammatica di domani sarà un atto sociale al quale ognuno darà il suo apporto.”
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Armando Petrini approfondisce in questo volume la biografia artistica di due fra gli attori più significativi della seconda metà dell'Ottocento, Giovanni Emanuel (1847-1902) e Giacinta Pezzana (1841-1919). Si tratta di interpreti in bilico fra realismo e naturalismo, dalla recitazione intensa e coinvolgente, spesso spiazzante, artefici di rappresentazioni memorabili, dalla Teresa Raquin di Giacinta Pezzana all'Amleto di Emanuel. Il libro ricostruisce l'evoluzione dei rispettivi percorsi artistici, discutendone gli snodi più importanti sulla scorta di un'ampia e inedita documentazione anche alla luce del contesto culturale più complessivo di fine Ottocento
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Il libro racconta la vita artistica della divina, dagli esordi napoletani con la compagnia di Rossi fino al sodalizio con D'Annunzio e il rientro sulle scene dopo il lungo ritiro. Non dunque una semplice biografia, magari incentrata sulle storie amorose, i viaggi e le difficoltà economiche, quanto piuttosto l'analisi delle sue interpretazioni, dai testi alla moda, negli ultimi decenni dell'Ottocento, di Dumas e Sardou fino al breve incontro con Shakespeare mediato da Arrigo Boito, il sofferto incontro con Ibsen e poi i personaggi dannunziani di Francesca da Rimini e della cieca nella Città morta. Ma tenendo conto che la vita intima e il pensiero hanno profondamente determinato il suo modo di recitare e il suo rinnovato stile dolente. Particolare rilievo acquistano agli esordi la grande interpretazione di Santuzza nella Cavalleria rusticana di Verga e, negli ultimi, il film Cenere e La donna del mare. Prefazione di Elena Bucci.
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