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The Kutamralam in which the ancient Sanskrit plays are staged is the only traditional theatre still in existence in some parts of Kerala. Its history, perhaps, goes back to a thousand years to the time when the royal dramatist Kulasékhara Varman wrote his plays-Tapati Samvarana and Subhadra-Dhananjaya. Because of several invasions of Kerala from the north and west, they too _ were destroyed and those that are standing today are mostly re-constructions carried out more or less on the same plans and the oldest may be of some centuries old.In many a detail and inspirit it appears to g be a direct descendant of Bharat`s Natyamandapa described in the second chapter of his Natyasastra and adapted to meet t-he regional demands.Here, these temple theatres are studied in their socio-cultural and historical context to put them in their proper environment and also to establish their trans-regional architectural links.Though each kuttampalam has its own individuality and personality, it also shares some common features with others. And the attempt, here, is made to show their difference and similarities which also help in understanding their construction and their ornamental details. This is done with the help of numerous drawings and photographs to elucidate each feature separately. One of the reasons for the author’s under— taking this pioneering study of these traditional H theatres is his hope that they will provide some suggestions for an alternative to the outmoded proscenium theatres which are even now built all over the country at an enormous cost and often rather badly. Within this cost a dozen and more theatres inspired by the kuttampalam could be built. In our socio-economic situation we cannot think of a better model, nor a more relevant one as it is born out of our own cultural milieu.All that we need is an open mind and imagination to adapt them
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Questo libro ha il merito di riavviare la discussione e (speriamo) le ricerche intorno a un fenomeno di grande importanza nella storia del teatro europeo: l'evoluzione – nel teatro comico – delle figure popolari del buffone e degli zanni nel corso delle società di antico regime. Questione di grande interesse non solo nel teatro recitato, ma anche in quello danzato e cantato, oltre che nella storia dell'arte figurativa. L'autore dedica una prima parte alla ricostruzione delle performaces buffonesche documentate nel territorio veneziano attraverso testi letterari noti ma rari, adesso riproposti con un accurato commento storico. Vengono così 'rinfrescate' le vicende umane e artistiche di solisti della narrazione e della recitazione quali Domenego Taiacalze e Zuan Polo, già a suo tempo studiati da Ludovico Zorzi.Nella seconda parte del libro ci si sposta più a nord prendendo in esame l'emigrazione dei nostri buffoni attraverso l'analisi e la considerazione delle tracce lasciate da questi alla corte bavarese di Guglielmo V nel corso degli anni Sessanta del Cinquecento oltre che negli affreschi del castello di Trausnitz a Landshut nelle vicinanze di Monaco di Baviera. Degli Zanni e del Magnifico, come delle loro compagne e dei loro compagni di origine latina, impegnati a recitare ballare e cantare invenzioni profane in compagnia – fra gli altri – del geniale musicista fiammingo Orlando di Lasso, si perderanno progressivamente le tracce con l’avvicinarsi degli anni Ottanta del secolo quando saranno i Gesuiti a prevalere con i loro drammi didattici.
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In questo libro vengono affrontate "sistematicamente", in prospettiva storica e dall'interno del lavoro artistico, la figura e l'attività del dramaturg. Mappe, orientamenti e crocevia storici accompagnano e disegnano le metamorfosi di una figura identificata con felice empatia artistica nell'attore ombra di un teatro che fa della capacità di trasformazione e di riviviscenza dei testi un punto di forza della propria identità. Dalla Germania all'area italofrancese, nella prima parte Claudio Meldolesi mette a fuoco epicentri, teorici e produttivi, del lavoro del dramaturg, indagandone principi operativi e fattori generalizzanti, con particolare attenzione ai risultati che fanno storia, dal lavoro di Heiner Müller su Brecht, a quello di Carrière per Brook. Lo stesso procedimento accompagna l'analisi del polo italiano. Anche qui, esempi e risultati che hanno fatto - e fanno - storia (basti pensare al binomio Gerardo Guerrieri-Luchino Visconti). Nella seconda parte Renata M. Molinari propone gli snodi del percorso personale che l'ha fatta dramaturg a partire dall'esperienza del teatro di gruppo degli anni Settanta. Non una autobiografia, ma l'evolversi di una "consapevolezza di mestiere", attraverso l'ascolto della scena, l'incontro con i maestri e la pratica con i compagni di creazione artistica, primo fra tutti Thierry Salmon. Le schede dedicate a singoli spettacoli sono cosi occasione per mettere a fuoco principi di lavoro, domande teoriche e logiche operative di questa professione
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