Ultimi arrivi

Questo libro racconta una protagonista eccezionale del Novecento teatrale, a lungo rimossa dalla memoria storica: Edith Craig (1869-1947). Figlia della grande Ellen Terry, l’attrice più amata dell’Inghilterra vittonana, e sorella maggiore di Gordon Craig, il profeta della rivoluzione registica, Edith Craig attraversò insieme a loro la transizione artistica fra i due secoli. Contemporaneamente intraprese autonomi percorsi creativi, per poi emergere come la prima donna regista ed inventare un teatro radicale, immerso nella dialettica fra arte e società.Fu pasionaria femminista delle scene, coreografa delle feste e dei cortei suffragisti, fondatrice e regista di una gloriosa compagnia d’arte e d’intervento, la Ploneer Players (1911-20) per la quale diresse forti pièce militanti e d’occasione e la migliore drammaturgia del modernismo europeo. Più tardi, fra le due guerre, agì da regista-pedagoga, si dedicò ai teatri di comunità e promosse il decentramento teatrale in nome di un’arte democratica.La sua grandezza diffusa, lì suo essere stata tante cose insieme, ne hanno fatto una figura anomala, di difficile collocazione nel pantheon della prima generazione registica.Questo grande affresco narrativo, frutto di lunghe ricerche d’archivio, connette criticamente dati biografici e analisi di contesto, per restituire nella loro complessità le sperimentazioni artistiche della prima regista e i campi discorsivi che esse aprono. Il contributo di Edith Craig al Novecento teatrale, secondo l’ipotesi storiografica qui proposta, è il modello di una regia estesa. Prima di essere la biografia di una donna eccezionale, il libro dunque è una storia della cultura, e soprattutto una storia di pratiche artistiche e sociali
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Qu’est-ce que l’industrie de la conscience ? Qu’est-ce qu’un supermarché culturel ? Qui gère la culture et au profit de qui ? À partir de l’exemple concret du Festival d’Avignon, contesté récemment par les « enragés » et défendu par les C.R.S., on aborde ici le problème de la production et de la diffusion de la culture, dans et par le système capitaliste. Ainsi que l’a déclaré Julian Beck quand le Living Theatre a quitté le supermarché avignonnais : « ...Le temps est venu pour nous de recommencer, enfin, à refuser de servir ceux qui veulent que la connaissance et le pouvoir de l’art appartiennent, seulement, à qui peut payer, ceux-là même qui souhaitent maintenir le peuple dans l’obscurité, qui travaillent pour que le pouvoir reste à l’élite, qui souhaitent contrôler la vie de l’artiste, et celle des autres gens. » Un important dossier de presse complète la critique de Jean-Jacques Lebel.
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Destinato a tutti coloro che, studenti o semplici curiosi, siano interessati a conoscere le linee generali della storia del teatro italiano, il testo passa in rassegna momenti ed aspetti che, se costituiscono un tratto originale dello spettacolo in Italia, concorrono allo stesso tempo a definirne l’influenza sull’intero teatro europeo. Dalla festa di corte quattrocentesca alla nascita dell’edificio teatrale, dalla grande stagione della Commedia dell’Arte allo spettacolo scenografico secentesco e al teatro ottocentesco dei grandi interpreti, vengono così analizzati ben cinque secoli di storia del teatro, dal XV secolo ai giorni nostri, attraverso un esame dei contributi critici più importanti e significativi. Il doppio registro che ne deriva, storico e bibliografico ad un tempo, consente una lettura a dialogo e a contrasto di uno degli aspetti più interessanti e vitali della cultura del nostro paese.
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A Parma, nel dicembre del 1628, le nozze di Odoardo Farnese e Margherita de’ Medici vennero celebrate con una serie di memorabili festeggiamenti che culminarono con l’inaugurazione del Teatro Farnese. Il fasto e lo splendore degli spettacoli suggestionò gli storici del teatro al punto d’assumere quelle feste come «debutto», del gran teatro barocco: segnarono l’esordio della straordinaria stagione dei grandi spettacoli di corte, l’ideale prologo di un’epoca che predilesse il teatro tanto da consacrarlo a modello e forma simbolica di un intero universo culturale. Prima di questo glorioso 1628, un insuccesso clamoroso: una mancata rappresentazione, anzi l’impossibilità stessa a procedere all’inaugurazione del Teatro, dopo un frenetico periodo di lavori e allestimenti, tra il 1618 e il 1619. A questa grande festa mai più realizzata – e che pur sempre costituisce l’esperienza essenziale di riferimento per quella entrata nella storia – è dedicato questo libro: l’«effimero barocco», in questo caso fortemente emblematico, propone il Teatro come illusione fantasmatica, ma al tempo stesso come luogo di un sapere, con le sue tecniche, di formidabile livello specializzato: un sapere, appunto, teatrale (di impianti, scene, macchine, movimenti, personaggi, testi, musiche, eccetera), coerentemente finalizzato alla produzione dello Spettacolo.L’analisi delle fonti e delle testimonianze relative ai preparativi farnesiani del 1618-1619 (di cui si dà la trascrizione nella sezione dei «Documenti») consente di delineare l’interrelarsi materiale di un teatro di corte, dal committente al letterato, dagli architetti ai pittori, dai falegnami agli intagliatori, fino al più umile degli inservienti, organizzati secondo inediti criteri di impresariato teatrale. Le riflessioni, le elaborazioni, gli orientamenti, le tradizioni e le conoscenze teatrali degli artisti e degli esecutori rivelano l’essenziale partitura di una festa e di un teatro barocco
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The late years of the Weimar republic were a time of disillusionment and economic disintegration, and nowhere were the forces competing for the political allegiances of the working class more active than in Berlin. This book examines the interplay of socialist and communist politics with the world of the working class and particularly its younger people. Drawing on sources such as newspaper articles, the text of agitprop plays, festival and concert programmes, and police reports, Professor Bodek provides a new angle on the forces at work in the proletarian sphere during the period, and highlights the different aesthetics and political theories of Social Democratic workers' chorusesand Communist agitprop theatre. Particular attention is given to the latter, whose troupes wrote and performed their own material, thus acting as a medium for communication of the Communist Party's political line: to understand the troupes, the life of working-class youth of the time is investigated, describing and analysing unemployment, housing, education, and leisure activities, and examining its relationship to the Weimar state through its members' own eyes
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Rites religieux, ballades de conteurs et influence indienne sont à l'origine de l'opéra chinois.Celui-ci a connu son âge d'or sous la dynastie Yuan (1276-1368). Il a ensuite évolué, donnant naissance au XVIIe siècle au genre Kunqu, encore joué aujourd'hui. Il s'est aussi diversifié suivant les régions. Dès le XVIe siècle sont apparus des genres comme le Puju du Shanxi et le Liyuanxi du Fujian.L'opéra de Pékin, quant à lui, s'est constitué au XIXe siècle à partir d'opéras locaux. Profitant du prestige de la capitale impériale, il s'est répandu à travers la Chine. Au XXe siècle, des troupes l'ont fait connaître en Occident ainsi que le théâtre d'ombres et de marionnettes qui, jouant les mêmes opéras que les acteurs, en donne l'une des dimensions particulières. Le Yueju de la région de Shanghai et le Pingju du nord-est n'ont été créés que dans les années 1920. Si le répertoire et la technique théâtrale se ressemblent à travers le temps et les régions, la musique, le chant et le dialecte utilisé constituent autant de différences que de richesses locales.Cet ouvrage très complet trace la formidable histoire de l'opéra chinois depuis ses origines jusqu'à nos jours, et livre les multiples facettes d'un art aussi essentiel en Chine que méconnu en Occident.
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