Un libro bello, onesto e interessante. Mi vanto di aver capito per primo, molti anni fa, che questo fotografo persiano è bravo, intelligente e motivato soltanto fotograficamente; nel senso che non usa la fotografia per certi motivi, ma il suo solo motivo è usare la fotografia. Disgraziatamente questa non è la regola ma l’eccezione, perché i più usano la fotografia per fare la rivoluzione, o per impedirla, o per illustrare altra cosa: insomma, per loro la fotografia è un mezzo. Per Nosrat Panahi Nejad è l’unico scopo, o almeno mi pare così. Naturalmente gli interessa anche il soggetto, “un” soggetto, ma mi ricordo di molte sue opere dove il soggetto era solo la fotografia.Foto Nosrat macchina787E arriviamo a questo bel libro: i suoi foto ritratti di pupi sono molto belli e rivelano un altro buco nella voluminosa Storia del Ritratto pubblicata dalla Alinari, di cui si è già parlato in questa rubrica. L’elemento centrale del ritratto, fatto a mano o a macchina, sono come tutti sappiamo gli occhi, lo sguardo. Se volete e se potete fate alcuni confronti: l’uomo è il soggetto dallo sguardo meno espressivo, meno “umano”. Lo sguardo più umano di tutti lo hanno i cani, specialmente quelli piccoli, dal nasino schiacciato come i grifoni. Io vivo da tempo con una grifoncina che, se mi fissa, mi mette a disagio e commuove fino alla lacrime: proprio così. Mi fa sentire in colpa, non verso di lei che la coccolo per delle ore: ma in colpa come uomo verso tutti i cani del mondo ai quali la mia razza malvagia ha fatto sempre del male. Chi un cagnolino non ha può pensare che esagero; chi invece ce l’ha sarà d’accordo con me.Dopo i cani lo sguardo più umano lo hanno le scimmie; poi viene il bue, come scrive il poeta. Ma al quarto posto c’è il burattino, il pupo. Solo in fondo a una serie lunghetta c’è l’uomo. A Nosrat Panahi Nejad, se devo fare una critica, è quella di essere stato avaro di primissimi piani. Ma adesso parliamo dei testi di Mimmo Cuticchio: sono interessantissimi e mi hanno fatto scoprire un sacco di cose, di quelle che ti fanno venire le idee. Faccio solo l’esempio più semplice, quello dei nomi delle pupe “in paggio” di cui nel libro si trova l’elenco. Galerana, Fedesmonda, Fiordispina, Armellina, eccetera. Poi ci sono i pupi misti come Pulicane, mezzo uomo e mezzo cane, che compare nella storia di “Buovo d’Antona”. E che dire dei nomi dei maghi? Malagigi, Tuttofuoco, Millifai, Araspase, Demorgene. Eccetera eccetera. Questi nomi innescano testi vecchi e nuovi, scritti e mai scritti, detti e non detti: come può confermare chi scrive o racconta storie di favole. Provate anche voi, cominciate a scrivere in cima a un foglio, o a raccontare a un bambino: “ C’era una volta un mago di nome Araspase, che un girono sente bussare alla porta. Va ad aprire e c’è Fedesmonda che dice….”. Sarà facilissimo continuare.