Ultimi arrivi

Alcune linee attraversano e collegano fra di loro i saggi che qui si presentano, consentendo di leggere il disegno complessivo a cui rispondono, quello cioè di esplorare non solo le nuove configurazioni che affiorano dopo che il digitale ha “esploso” – o imploso – modi, mezzi e oggetti (se vogliamo attenerci alle categorie classiche della drammaturgia), ma anche di saggiare, a fronte di questo compito, la tenuta complessiva degli apparati metodologici che il fine-millennio ci ha consegnato. In questa prospettiva i punti di osservazione più idonei si attestano nelle zone di “confine”, per cogliervi i processi di slittamento, la dissoluzione progressiva delle frontiere, lo scambio sempre più frequente fra le marche che segnalano la diversità dei territori, invalidandone ogni proprietà identitaria. Abitarne le linee infatti significa il più delle volte denunciarne la virtualità, privarsi delle funzioni distintive e oppositive che ci consegnano. Azioni in loop, percorsi di smarrimento, tempi reiterati, immagini aptiche sono segni sintomatici di un'assenza, di una sensibilità dei diversi enunciati a configurarsi in modalità nelle quali né si dà ai casi tutela narrativa, né il mandato narrativo è affidato alla composizione dei casi. È l'altro lato del mondo digitale, che invece sembrerebbe destinato a resuscitare i fasti della narrazione classica moltiplicandone i ribaltamenti e accreditandola con l'iperrealismo degli effetti speciali e con l'ipertrofia dei processi di pre e postproduzione; piuttosto che per proliferazione delle vertigini metatestuali, i passages qui esplorati, ospitano il pensiero del mutamento per la perdita di corpo e luogo che esibiscono, per l'esperienza del vuoto che manifestano.
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Se non ci fosse dovremmo inventarlo e poi sarebbe una gran fatica il realizzarlo. Lodato sia dunque chi lo fabbrica da anni per la nostra mania collezionistica e i nostri bisogni documentari. Ci riferiamo al Patalogo. Annuario del teatro che giunge quest’anno al suo ventisettesimo numero (e anno) di vita. S'intitola, nel volume (322 pagine) dedicato al 2004, Il corpo e la parola la parte saggistica (50 pagine): contiene, per la cura di Franco Quadri e Renata Molinari, una serie di scritti dedicati ad autori e registi (ma anche registri) tragici emersi durante la scorsa stagione. Si va da frammenti di informazioni su uno spettacolo scombinato come Edipo a Colono, figurativamente accurato, recitato da alcuni bravi attori (Bertorelli, Binasco, Renzi), ma diretto in maniera svogliata e confusa da Mario Martone, alle riscritture e riallestimenti del Titus Andronicus registrati fra Parigi, Lisbona e la Germania. Si torna di nuovo a parlare delle regie di classici messe in opera da Ronconi, Stein e altri; si riprende il tema del tragico attraverso scritti dedicati a Pasolini o alla Tragedia Endogonida della Società Raffaello Sanzio. Nella prima parte (231 pagine) il solito sterminato catalogo di spettacoli e festival (non solo italiani) debitamente indicizzato (29 pagine), che consente al lettore di oggi e ancor più al lettore di domani di orientarsi nel panorama forse confuso ed anche disorientato, ma non morente, del teatro nostro contemporaneo. Anche questo patalogo è una forma di resistenza degna di essere sempre lodata
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